Partiamo da un presupposto: per quanto riguarda la mobilità elettrica, nel senso più generale del termine, l’Italia parte con un ritardo sostanziale rispetto a numerosi altri paesi. Non vuole essere una critica ma la presa d’atto di un dato di fatto: altrove si è partiti prima e meglio e se oggi le colonnine del rifornimento elettrico, nemmeno gratuite ma a pagamento, sono ancora troppo poche rispetto al dimensionamento delle città e alla tipologia del traffico, c’è comunque un segnale significativo. Qualcosa si sta facendo. Le auto elettriche vengono vendute, hanno un’assistenza adeguata e sono un’alternativa seria rispetto alla movimentazione privata tradizionale. Ma ancora non basta. Dieci anni fa si diceva che con il 2020 almeno il 15% dei mezzi urbani sarebbe stato elettrico. Non arriviamo a questa percentuale nemmeno se includiamo tutte le auto ibride omologate in questi ultimi anni. Per quanto riguarda poi la micromobilità occorre fare altre specifiche.

Micromobilità elettrica: dove si applica

La micromobilità elettrica si appoggia in particolare su mezzi leggeri o addirittura leggerissimi: moto, scooter, bici assistite. In numerose città è stato lanciato l’utilizzo dei monopattini elettrici e già da diversi anni vediamo quelli che sono definiti ‘floater’, i galleggianti, anche se magari solo per un uso turistico: sono segway, quelli un po’ più potenti e le ruote alte, hoverboard, tavole piccoli ruote posizionate in senso laterale, non indicatissime forse nemmeno per le piste ciclabili.

Quando si parlava di micromobilità inizialmente si intendeva proprio l’utilizzo di questi mezzi brevettati una ventina di anni fa e distribuiti senza bisogno di alcuna patente o licenza un po’ ovunque. Si trovano nei centri commerciali e on line con modelli estremamente economici che vanno dai 200€ a quelli un po’ più efficienti e autonomi che possono arrivare a 700€. Batterie al litio ricaricabili da una normalissima presa elettrica e autonomia sufficiente a coprire alcuni chilometri, da un minimo di quattro a un massimo di dieci: ma dieci chilometri su uno skateboard elettrico monoruota non sono decisamente una passeggiata.

Diciamo che l’utilizzo di questi mezzi combinati con i trasporti locali, bus, tram e metro, è sicuramente un’alternativa all’uso dell’auto. Più economica, soprattutto nel lungo periodo. Questi mezzi non hanno una vita eterna, a volte l’usura delle strade e del traffico, in particolare il saliscendi sui marciapiede, diventa particolarmente stressante e usurante: altre volte le riparazioni non sono convenienti e di fronte a un motore bruciato ha più senso comprare un mezzo nuovo che ripararlo. Ecco perché si parla di mobilità ‘a passo stretto’: è personale, non si può trasportare nessuno, ed è di breve periodo e con una limitata autonomia. Bisogna fare due conti sul tipo di tragitto che si deve coprire ogni giorno e capire se alla fine questo genere di strumento è davvero quello giusto.

Decreto sulla micromobilità elettrica

Di micromobilità elettrica si è parlato molto in questi ultimi mesi relativamente al decreto legge firmato dal ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Il decreto prevede una “sperimentazione” nelle città di questo genere di mezzi di trasporti: ma questo non vuol dire che i Comuni accolgano l’indicazione del governo e si facciano cogliere pronti su questa indicazione.

Il decreto fa chiaramente riferimento a un tipo di mobilità intermodale, e dunque da interfacciare con il trasporto pubblico, ma chiede anche ai sindaci di creare tutte le opportunità per implementare le città con quelle infrastrutture che sono necessarie: e dunque corsie dedicate. Di fatto monopattini elettrici, Segway, monowheel e hoverboard, richiederanno nuovi aggiornamenti del Codice della Strada: si parla infatti dell’introduzione di una nuova categoria dedicata ai “veicoli ecosostenibili”: perché se è vero che questi mezzi possono e potranno essere condotti senza una patente di guida, è certo che dovranno anche rispettare delle regole. Sicuramente verrà introdotto l’uso obbligatorio del casco e probabilmente verrà prevista anche un’assicurazione specifica. La tipologia di questi veicoli invece prevede che questi possano essere utilizzati nelle aree perdonali – anche quelle chiuse a qualunque traffico veicolari – sulle piste ciclabili o contromano. Nasceranno anche tutta una serie di limiti ben precisi: i mezzi elettrici di nuova generazione, anche quelli più piccoli, dovranno avere catarinfrangenti e luci di posizione e non potranno in alcun modo superare i 30 km/h.

Moto e scooter elettrici

Un discorso a parte meritano moto e scooter elettriche che con molta fatica, in un paese dominato dalla tradizione del motore a scoppio e da un’industria motociclistica di enorme successo, ha faticato non poco a imporsi. Però ci sono sempre più offerte in questo senso: la scelta è sempre più ampia e va da un investimento di circa 2500 euro per uno scooter che sviluppa watt sufficienti a percorrere una trentina di chilometri, a 15mila euro per il BMW, un autentico gioiello, o il top di gamma della Zero. Perché spesso si considerano anche moto e scooter costosi e che hanno un passo importante come mezzi di micromobilità? Fondamentalmente per un errore di fondo: perché non sono inquinanti. Ma non sono micro e quindi non fanno parte della micromobilità elettrica.

La micromobilità riguarda solo veicoli che si possono guidare senza patente e che possono essere sollevati e caricati sui mezzi pubblici senza costi ulteriori: in alcuni comuni per la verità se si sale con un Segway viene chiesto un secondo biglietto ma c’è il progetto di liberalizzare e di togliere il costo del peso e dello spazio di mezzi elettrici di piccolo passo. La cosa probabilmente andrà in porto per hoverboard e monopattini ma sicuramente non per gli scooter che per altro devono essere guidati con la patente. Chiarito questo equivoco a questo punto si attende solo che i decreti diventino impegni, in particolare da parte dei comuni, soprattutto dove le colonnine per l’approvvigionamento elettrico dedicato a ricariche spot di mezzi urbani sono ancora davvero troppo poche e mal distribuite. Si vedrà poi anche come le città saranno in grado di disciplinare questa nuova tipologia di viabilità che già esiste ma che viene regolamentata solo dal buon senso di chi la utilizza.

Ultima modifica: 17 Giugno 2019