Di norma la fiscalità applicata al settore auto dovrebbe imporre costi maggiori a chi inquina di più. In Italia, tuttavia, sembra essere in vigore il principio inverso. Una scelta che ha una conseguenza ben precisa: rallentare il processo di elettrificazione, collocando il nostro Paese nelle retrovie rispetto a molte altre nazioni europee. Non solo grandi economie come la Francia ma anche mercati più piccoli come Portogallo, Romania e Ungheria, solo per fare alcuni esempi. Lo rivela la nuova analisi di Transport & Environment (T&E), che mette a confronto il trattamento fiscale del comparto automobilistico di 31 Paesi.
Osservando le variabili in gioco – sette forme di tassazione e due tipi di registrazione (privata e aziendale) – e valutando gli incentivi a sostegno della domanda, lo studio fa emergere il quadro di un sistema di tassazione italiano sostanzialmente slegato da ogni politica di riduzione delle emissioni di CO2, per lo meno nel confronto con i principali Stati europei. Le tasse italiane, afferma inoltre T&E, non seguono neppure un criterio di equità poiché non penalizzanoabbastanza le auto di nuova immatricolazione maggiormente emissive, che sono anche le più costose e sono tipicamente l’opzione di acquisto delle fasce più abbienti della popolazione.
Un chiaro esempio di fiscalità italiana che non sostiene l’elettrificazione è la tassa di immatricolazione, che nella maggior parte dei Paesi europei è legata al potenziale emissivo di gas serra. Un esempio: gli acquirenti francesi che intendono comprare un’auto che rilascia oltre 200 gCO2/km arrivano a pagare allo Stato fino a 40mila euro di imposte; in Italia la tassa corrispondente è invece scollegata dalle emissioni del veicolo.
Sugli incentivi all’acquisto, l’Italia rappresenta poi un’eccezione ancor più negativa. Oltre a offrire, nel confronto con le altre nazioni, un sostegno economico modesto agli acquirenti di veicoli elettrici a batteria (BEV), il nostro è praticamente l’unico Paese in Europa a prevedere incentivi per l’acquisto di automezzi con emissioni fino a 135 gCO2/km. Si tratta, in altre parole, di quegli stessi veicoli che in Francia vengono tassati all’acquisto perché inquinanti. Quello che nella nazione transalpina è considerato un malus dal punto di vista ambientale, in Italia viene addirittura incentivato. E anche questa, a ben vedere, è una delle ragioni che spiega il calo di vendite di auto elettriche registrato nel 2022.
“Le politiche fiscali sono un elemento determinante per disincentivare la mobilità inquinante e favorire l’ingresso e l’espansione di veicoli a zero emissioni sul mercato dell’auto”, spiega Elena Lake, Electric Fleet National Lead di Transport & Environment. “I risultati dell’analisi di T&E dimostrano che la tassazione e i meccanismi fiscali messi in campo in Italia sono troppo deboli per avere un impatto positivo e spesso vanno addirittura nella direzione sbagliata”.
Nel tentativo di ovviare a una parte di questo problema, nel luglio del 2022 le principali associazioni ambientaliste italiane hanno fatto ricorso al TAR contro gli incentivi all’acquisto erogati dal governo. Si tratta di un fondo di 1,84 miliardi, il 25% dei quali (440 milioni) è destinato all’acquisto di veicoli endotermici. La quota prevista per il 2022 (170 mln) è ormai esaurita. Il che significa che lo Stato ha già finanziato l’acquisto di 85 mila nuove auto “fossili”, una flotta di veicoli che nel suo arco di vita potrà emettere oltre 1,7 milioni di tonnellate di gas serra.
L’unico parametro fiscale collegato alle emissioni di CO2 del mezzo è la tassazione dell’auto aziendale come fringe benefit. Anche su questo fronte, tuttavia, l’Italia è chiamata a fare molto di più. Le auto aziendali rappresentano il 36% delle vendite annuali, hanno indici emissivi più alti rispetto ai mezzi privati (poiché utilizzate più intensamente) e sono il principale bacino potenziale per l’attivazione di un mercato di seconda mano dell’elettrico.
L’Italia potrebbe prendere spunto dal Regno Unito, dove la grande differenziazione in termini di tassazione per classi emissive dei fringe benefit ha portato ad avere una quota di auto elettriche, nelle flotte aziendali, che si avvicina al 20%, contro l’esiguo 5,4% registrato nel nostro Paese. La misura adottata qui da noi – che prevede appena il 5% di differenziale tra un’auto a zero emissioni e un veicolo capace di rilasciare fino a 159 gCO2/km – è troppo timida per disincentivare l’acquisto di veicoli inquinanti, oltre ad avere l’aggravante di non distinguere tra i veicoli che sono realmente a emissioni nulle e le auto ibride plug in.
Contro alle vetture alla spina
Proprio le auto ibride plug-in, ricorda infatti T&E, possono emettere fino a 8 volte di più rispetto ai valori dichiarati, con impatti complessivi appena inferiori alle tradizionali endotermiche. Gli incentivi per questo tipo di “fake electric” sono stati rimessi in discussione in Germania, dove verranno eliminati a partire dall’anno prossimo, e in Belgio, dove la possibilità di dedurre l’auto ibrida come costo aziendale si esaurirà nel 2026.
In conclusione, il rapporto rileva come sia arrivato il momento di modernizzare l’antiquato sistema italiano di tassazione delle auto. Il legislatore, in particolare, dovrebbe intervenire per collegare le tasse alle classi emissive e al costo dei veicoli, impedire ai ricchi di inquinare in modo sproporzionato e smettere, infine, di sovvenzionare mezzi aziendali inquinanti con fondi pubblici. “Con la legge di Bilancio 2023 è arrivato il momento per i legislatori Italiani di adeguare il sistema nazionale agli standard europei. La tassazione va collegata sia alle emissioni che al prezzo del veicolo, con una fiscalità adeguata al processo di transizione verso una mobilità sostenibile, accessibile e sicura per tutti”, conclude Lake.
Ultima modifica: 27 Ottobre 2022