Quando mi capitava di fare quattro chiacchiere con Stirling Moss, spentosi domenica a 90 anni, avevo sempre l’impressione di conversare con un gentiluomo che sapeva dare il giusto peso alle cose della vita.
Come pilota di auto da corsa era stato straordinario, eppure il destino lo aveva relegato al ruolo di eterno secondo. Sempre Ettore, mai Achille.
Niente titolo di campione del mondo di F1, per lui, lui che Enzo Ferrari considerava il più grande. Lui, che non guidò mai la Rossa da Gran Premio ma fu un eroe della Maserati.
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Lui, che si ruppe ossa e diede sangue sull’altare della velocità, senza mai arrendersi alla ossessione. «Mi chiamano il re senza corona – mi disse una volta al Nurburgring – però io non mi sono mai sentito inferiore a chi la corona ce l’aveva!».
Grande Stirling! Perdeva ma era così popolare che lo vollero sul set di uno dei primi film di James Bond (faceva l’autista, ovvio), «Casino Royale», e la Regina Elisabetta stravedeva per il suo stile.
Lo stile del Fenomeno che è più grande persino dell’albo d’oro. Non è stato l’unico, Moss. Nella sua cafonaggine da miliardario maleducato, per dire, Zlatan Ibrahimovic è certamente un Vip della pedata.
Eppure, ha invano rincorso la Champions League con le maglie dell’Ajax, della Juve, dell’Inter, del Barcellona, del Milan, del Paris Saint Germain. Non l’ha mai alzata, eh. Il ciclismo si è anticamente nutrito della leggenda di Tano Belloni, l’eterno secondo. Poi venne il mitico Gino Bartali, che sempre vanamente sognò la maglia iridata.
E persino Eddie Merckx, il Cannibale, ebbe la sua nemesi: vinse tutto, compreso un circuito a Pavullo nel Frignano. Solo che non si aggiudicò mai la Parigi-Tours, classica d’autunno riservata ai velocisti. E che dire di John McEnroe? La sua storia, abbinata al rivale Borg, è finita pure ad Hollywood. Super Mac si sarebbe fatto tagliare i riccioli e un braccio, pur di imporsi sulla terra battuta del Roland Garros, lui che era un fenomeno sull’erba e sul cemento.
Nel 1984 in finale andò in vantaggio due set a zero sul detestato Lendl: sembrava fatta, invece lo champagne fu rimesso in frigo, perché vinse il nemico in rimonta. Ma chi la fa l’aspetti: per 270 settimane numero uno delle classifiche mondiali del tennis, Lendl si schiantò contro l’erboso iceberg di Wimbledon, rimediando sconfitte amarissime nel torneo che amava di più.
Moss ci ha insegnato la vera grandezza
Forse, a Stirling Moss e a quelli come lui dobbiamo una lezione più forte del messaggio insito nelle imprese felici. La vera grandezza, anche nelle nostre vite di comuni mortali, sta nell’accettarci come siamo. Cioè, nella fragilità della imperfezione.
Leo Turrini
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Ultima modifica: 15 Aprile 2020