Loris Reggiani: lei, forlivese, è stato pilota di alto livello, poi è diventato commentatore delle gare in tv. E infine si è persino inventato produttore di moto. Può spiegare quindi, da esperto, questo fenomeno della Romagna terra del motore, anzi ‘tera de mutor’?
«Beh, se le motociclette sono nella mia vita da quand’ero ragazzino, questo accade perché in Romagna, da sempre e anche oggi nell’epoca degli smartphone, il ‘motore’ è pane quotidiano. Se ci pensa, al bar si parla ovviamente di calcio ma anche, e molto, di motociclismo. E’ come se ci fosse da sempre un germe, anzi un gene dentro di noi, la moto è la moto».
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E come nascono poi tanti grandi piloti? Il fresco campione mondiale della Moto2, il riminese Enea Bastianini, è l’ultimo di una lunga serie.
«Innanzitutto perché in Romagna c’è, appunto, una base di appassionati molto più ampia che altrove, basti vedere per le strade o ai motoraduni, e di riflesso ci sono anche molti che vanno a correre in pista o ci portano i figli».
Sì, ma questo perché accade secondo lei?
«Per la tradizione e per l’ambiente: abbiamo creato due circuiti internazionali come Imola e Misano, abbiamo piste di minimoto dove muovere i primi passi, abbiamo tecnici e meccanici di valore. Da noi è anche più facile riuscire a correre in moto che non in altri posti».
D’accordo, e qual è la ‘benzina’ che alimenta tutto ciò?
«Di sicuro una profonda passione che si tramanda. Qui ci sono padri che hanno corso oppure seguito le corse, che poi portano appunto i figli in pista già piccolissimi e sperano magari che diventino campioni».
Ecco, che ne pensa ad esempio proprio di Bastianini, che ce l’ha appena fatta a diventarlo?
«Devo dire che Bastianini mi ha colpito; è stato fortissimo, una ‘bestia’ proprio come il suo soprannome, bravo a non perdersi dopo che da tempo ci si aspettava che vincesse e non ci riusciva. Finalmente l’anno scorso è diventato l’uomo da battere. E non l’hanno battuto. Mi spiace invece molto per il mio vicino di casa Andrea Dovizioso: un titolo della MotoGp se lo sarebbe già meritato, vedremo adesso cosa farà in futuro».
Tornando ai primi passi nei motori, per lei non fu però facile diventare pilota, vero?
«Già, i miei zii, con cui vivevo, si sentivano molto responsabili verso di me e avevano paura che in moto mi facessi male. Ma io appena guadagnai qualche soldo facendo dei lavori, e mi ricordo ancora che misi da parte 2 milioni e 400mila lire per l’esattezza, mi comprai una moto per partecipare all’allora trofeo nazionale Aspes. Avevo già 16 anni quando iniziai a fare gare».
Caparbietà nella propria passione, d’accordo, ma ai romagnoli si attribuisce anche una sorta di leggerezza, cioè la voglia congenita di divertirsi: c’è anche questo fra i motivi di questa propensione per ‘e mutor’?
«Certamente, la moto è comunque prima di tutto divertimento. E i piloti romagnoli hanno il carattere della loro terra, sono tipi quasi sempre schietti, simpatici, ce lo riconoscono ovunque. Basti pensare, un nome per tutti, a quanto piaceva alla gente Marco Simoncelli al di là delle sue doti di pilota e a quanti romagnoli viene chiesto di andare, ad esempio, a parlare in tv durante le corse. Siamo generalmente genuini e divertenti, caratteristiche che si sposano bene con la motocicletta».
Insomma, i romagnoli sono ancora quelli del motociclista di Amarcord, che sfrecciava per la strada a tutta manetta?
«In pratica sì, ma mi raccomando. Per strada bisogna essere prudenti. Sapeste che paura mi fanno certi che salgono nel weekend lungo la statale del Muraglione, la strada che ogni motociclista romagnolo ben conosce. Quelli mi fanno paura, mica quelli che vanno oltre i 300 orari in pista. Va bene la passione, ma in strada bisogna stare attenti».
Un’ultima cosa, lei ha iniziato a produrre moto elettriche, le ThunderVolt, e creato un apposito campionato, pur frenato dalla pandemia. Ma non è un po’ un assurdo, soprattutto per un romagnolo e per un ex campione come lei, parlare di moto ’elettriche’?
«Beh, devo dire che anch’io all’inizio non ero proprio orientato su questo versante. Ma il progresso e la società vanno in questa direzione e anche le moto devono andarci. Assieme ad altri due amici malati di moto così ci siamo buttati in questa avventura. La moto è moto».
Ettore Morini
Ultima modifica: 6 Gennaio 2021