Sono passati 40 anni dalla prima gara. Il format originario non c’è più. Sono stati macinati chilometri tra la sabbia e le tempeste. Ci sono stati incidenti e qualcuno non è più tornato, ma la Parigi-Dakar conserva intatto il suo fascino.
Parigi – Dakar, il mito del rally più duro
I miti, del resto non tramontano, anche se cambiano nome e perdono qualche tradizione. Oggi si chiama semplicemente Dakar, e resta in ogni caso il rally raid più conosciuto e più sognato al mondo.
Auto, moto, quad o camion, si parte per percorrere diecimila chilometri in poco più di due settimane attraversando territori impervi e insidiosi, tra la sabbia, il fango e le rocce.
La durezza della Parigi – Dakar, dal 2000 in poi, si è un po’ mitigata, ma resta l’esperienza estrema di una corsa che mette a dura prova i piloti, anche i più esperti.
L’idea di un rally così duro viene proprio a un grande pilota francese, Thierry Sabine, che nel 1970 dà il via a una corsa che parta dalla capitale francese, attraversa il continente europeo e approda in Africa fino alla capitale del Senegal.
L’idea viene quasi per caso al pilota francese che si perde nel deserto libico mentre è impegnato nel rally Abidjan – Nizza. E’ una brutta avventura e Sabine viene salvato quando è allo stremo, ma l’esperienza gli suggerisce di studiare un percorso diverso e farne una gara di rally davvero unica, come lo sarà la Parigi – Dakar per una ventina di anni.
Ma poi gli incidenti, le polemiche, le denunce ambientaliste e anche le minacce terroristiche, hanno modificato profondamente il modello originario. Quel che resta intatto è il lavoro di preparazione delle auto, delle moto, dei quad e dei camion che dovranno affrontare il duro percorso.
Vengono rinforzate parti meccaniche, si studiano protezioni dalla sabbia, dal fango, dai terreni accidentati e soprattutto si studiano soluzioni per garantire il massimo delle prestazioni dei veicoli anche a temperature molto elevate o in condizioni di umidità estrema. È un lavoro indispensabile per avere le giuste chanches per arrivare fino in fondo alla corsa.
C’è un elemento comune a tutti i veicoli in gara: un sistema GPS non modificabile che forniscono gli stessi organizzatori.
Serve a mantenere il percorso stabilito, che i concorrenti conosceranno soltanto pochi minuti prima della partenza, con un road book, la versione cartacea del percorso mappato.
Parigi – Dakar, come cambia il percorso
La Parigi – Dakar resta in realtà invariata e fedele all’idea originaria soltanto fino al 1991. Il percorso è appunto dalla Francia a Senegal, ma già nell’edizione 1992 si sperimenta un tracciato diverso, che viene abbandonato in favore delle origini nel 1993 e nel 1994. Poi la Parigi – Dakar nelle edizioni 1998, 2000 e 2001 mantiene la corrispondenza tra nome e percorso.
Nel 2008 fu anche annullata, perché quattro turisti francesi in Mauritania furono uccisi. L’allerta per minacce terroristiche era troppo elevata per non essere presa in considerazione fino alle conseguenze più estreme.
E infatti nel 2009 la Parigi – Dakar prende tutt’altra strada, arriva infatti in Sudamerica. Gli anni delle scorrazzate in Africa sono già lontani. Nel 1992 arrivò addirittura a Città del Capo nel Sudafrica. Sono davvero tanti gli episodi da ricordare che hanno contrassegnato ogni singola edizione, già dalle prime fasi.
Nel 1982 la Parigi – Dakar fece scalpore per la missione di salvataggio che riguardò un pilota speciale. Si trattava del figlio di Margarte Thatcher, all’epoca primo ministro britannico.
Mark guidava una Peugeot 504 e perse la rotta nel deserto del Sahara. Fu ritrovato solo dopo lunghe ricerche da una Hercules C130 dell’aviazione algerina.
Infatti ci furono parecchi  episodi che non ebbero un lieto fine.
Non ne fu immune neppure l’ideatore della Parigi – Dakar. Thierry Sabine morì in un incidente elicotteristico, assieme ai quattro componenti dell’equipaggio che seguiva dall’alto la corsa. Furono sorpresi da una tempesta di sabbia e quello è rimasto l’incidente più grave nella storia della Parigi – Dakar.
Il campione toscano Fabrizio Meoni, riuscì a vincere le edizioni 2001 e 2002, ma partecipando all’edizione 2005 rimase coinvolto in un incidente mortale. La gara fu tragicamente segnata già all’esordio, nell’edizione 1979 con l’incidente di Patrick Dodin, motociclista che perse la vita perdendo il controllo della moto mentre cercava di allacciare il casco.
Nelle varie edizioni i piloti deceduti sono stati 24. E non sempre si è trattato di professionisti.
Parigi – Dakar, una corsa anche per amatori
La Parigi – Dakar ha avuto sempre una caratteristica specifica: ammettere in gara anche semplici amatori, che tutt’oggi sono la maggior parte dei concorrenti.
E tra gli amatori vanno considerati anche personaggi del mondo dello spettacolo, come il rocker francese Johnny Halliday e anche l’attore Renato Pozzetto. Hanno corso per passione senza però ottenere grandi risultati. E in fondo l’obiettivo di ciascun pilota, professionista o meno, è arrivare a concludere il percorso. Considerate le grandi difficoltà del percorso è davvero tanto. Tra gli affezionati della corsa anche professionisti del calibro di Clay Ragazzoni, Jackie Ickx, Henri Pescarolo, Patrick Tambay e Jacques Laffite, tutti esperti di Formula 1, ma non di rally così duri. Tant’è che l’unico a ottenere una vittoria fu il belga Ickx nel 1983.
Parigi – Dakar, la prima volta di una donna sul podio
C’è anche una donna ad aggiudicarsi una Parigi – Dakar. Accade nel 2001, ma la gara da sempre è stata aperta anche alla partecipazione femminile e la tedesca Jutta Kleinschmidt, che in passato aveva partecipato correndo in moto, questa volta si presenta con un’auto della Mitsubishi.
Vince e arriverà sul podio altre tre volte nella storia della Parigi – Dakar sbaragliando colleghi maschi di maggiore esperienza. La gara però non è solo questione di bravura nella guida ma anche di capacità di risolvere percorsi difficili e difficoltà legate all’ambiente.
Per sopravvivere bisogna fare i conti anche con le situazioni politiche che regolano i paesi da attraversare: l’Africa non è un territorio facile ma diviso e dilaniato da guerre e guerriglie. Si può morire infatti anche per un proiettile vagante, come è accaduto nel 1991 a Charles Cabannes nel Mali.
I predoni del deserto nel 1998 sequestrano due camion e sparano raffiche di kalashnikov sugli altri piloti in corsa e nel 2003 un camion di assistenza salta in aria passando su una mina posta lungo il confine tra Libia ed Egitto.
Ultima modifica: 23 Maggio 2019