Giovanni Agnelli, la storia del fondatore della Fiat

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Un sognatore, sicuramente una persona molto lungimirante, ma anche imprenditore vicino alle maestranze, attento alle esigenze di chi lavorava per lui e con lui: parliamo di Giovanni Agnelli, il fondatore della FIAT, quello che i libri di storia ormai considerano il primo grande industriale della storia italiana insieme ad Adriano Olivetti, poco più giovane di lui ed erede di Camillo Olivetti, fondatore dell’omonimo gruppo.

Giovanni Agnelli, origine del sogno

 

La prima caratteristica che viene definita di Giovanni Agnelli era la sua eleganza: un’eleganza molto formale data da un’educazione severa, dagli studi e dalla carriera militare che iniziò in giovanissima età. Ma Agnelli, pur non essendo nobile, era figlio di una famiglia benestante e borghese che frequentava i salotti buoni di Torino, capitale d’Italia e sede di casa Savoia.

Agnelli era ben conosciuto ai facoltosi nobili piemontesi e lui stesso, grazie anche a parecchi viaggi all’estero, amava frequentare le feste, i salotti e i circoli della cultura torinese dove in qualche modo rimbalzava dalla Francia l’eco della Belle Epoque mentre da Germania e Inghilterra arrivavano i primi impulsi industriali. Il primo degli Agnelli era considerevolmente sensibile al fascino della tecnologia: quando decise di avviare la prima fabbrica di auto Agnelli riuscì a circondarsi di diversi nobili e ricchi e di uomini che sarebbero diventati potentissimi tra i quali Giovanni Giolitti, quattro volte primo ministro.

La FIAT, una fabbrica sul modello americano

Giovanni Agnelli ebbe il merito di avviare l’industria, rimodernarla di continuo seguendo il modello americano delle catene di montaggio meccanizzate e della produzione H24 ma questo non gli vietò di creare borse di studio per i figli dei suoi meccanici e operai, investire in scuole, asili e numerose attività sportive resistendo anche a terribili drammi personali.

Quando nel 1935 suo figlio Edoardo morì in un incidente con l’idrovolante a Genova, Agnelli decise di lasciare l’industria di famiglia – che nel frattempo aveva trasferito in uno splendido impianto al Lingotto – e di vendere tutto. Fu la prima di una serie di tragedie che non hanno mai impedito né a Giovanni, nei ai suoi eredi e in particolare all’avvocato di restare al comando della FIAT. Ripresosi dallo shock il capostipite fu costretto ad affiancare il paese nella corsa al secondo conflitto mondiale, una scelta che l’industriale non contestò mai ma che non lo vide mai completamente convinto.

Gli aneddoti dicono che volesse personalmente testare ogni modello nuovo che usciva dalle sue fabbriche e i suoi test fossero spietati. Produsse decine di migliaia di Balilla, il nome fu imposto dal regime fascista, ma quando si trattò di produrre la nuova utilitaria fu lui a imporre il nome: “La chiameremo Topolino – disse – un po’ di buonumore è d’obbligo”. Fu il suo omaggio agli Stati Uniti che lo affascinavano moltissimo ma soprattutto una grande intuizione, l’ultima, prima di essere messo sotto accusa dai partigiani di aver fiancheggiato il regime e di morire, nel dicembre 1945.

Ultima modifica: 13 Settembre 2019