Carburanti e rifiuti sono tra gli argomenti più scottanti degli ultimi anni in tema di sviluppo sostenibile, ma anche in fatto di prezzi e salvaguardia del pianeta. I continui rialzi del costo dei primi hanno occupato le prime pagine per lungo tempo a inizio anno, un valore che si è attestato ora su livelli mediamente alti. Il tema rifiuti, invece, è sempre all’ordine del giorno con problematiche che spaziano dallo smaltimento alla differenziazione. Coniugare i due ambiti potrebbe dunque essere la soluzione vincente per creare biocarburanti e contribuire allo smaltimento dei rifiuti, una via che potrebbe dare una notevole spinta alla transizione energetica. Nonostante possa sembrare un’idea utopica e troppo ottimista, questa trasformazione è già in atto e lo dimostrano il progetto portato avanti dal gruppo Shell nonché la sperimentazione condotta da Eni.
L’impianto pilota di Shell
Bangalore, India. All’interno del modernissimo campus che riunisce le menti di 1500 ricercatori, i rifiuti vengono trasformati in carburanti per alimentare i motori termici. L’impianto pilota realizzato da Shell utilizza rifiuti per produrre benzina e gasolio. A rendere possibile questa conversione è un processo chimico che si basa su una reazione catalitica a due stadi, chiamata IH2. Calore, idrogeno e catalizzatori agiscono sulle molecole che compongono i rifiuti per trasformarle in parti più piccole. La reazione IH2 rimuove ossigeno e altre particelle per dare vita a idrogeno e carbonio, che combinati originano a loro volta benzina, gasolio e cherosene.
Tra i rifiuti impiegati ci sono quelli forestali e agricoli, ma anche carta e cartone così come tessuti naturali e scarti alimentari. Diverso il discorso per plastica, poliestere e nylon che possono essere assorbiti fino al 15%, mentre vetro, metallo e gomma vanno rimossi.
Il progetto Eni
Waste to Fuel è invece il progetto del colosso petrolifero italiano che produce biocarburanti partendo dalla frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), ma anche dagli scarti organici dell’industria agroalimentare e dalla grande distribuzione. Per intenderci, si utilizza tutto ciò che finisce nel sacco dell’umido. Sviluppato e brevettato nel Centro Ricerche Eni di Novara, il processo è in atto nell’impianto pilota realizzato nell’area della bioraffineria di Gela. Con questa tecnologia si ricava un bio olio a basso contenuto di zolfo, che è quindi adatto al trasporto marittimo, ma che può anche essere raffinato e viene inoltre ricavato il 60% di acqua, da riutilizzare nel ciclo produttivo. La tecnologia Waste to Fuel si basa sulla termoliquefazione, una tecnica simile a quella utilizzato dalla Terra per generare idrocarburi, ma molto più rapida dal momento che in questo caso si parla di due o tre ore mentre per il nostro pianeta sono serviti centinaia di milioni di anni. Oltre alla produzione di bio olio, all’eliminazione dei costi e dei problemi legati allo smaltimento dei rifiuti, i vantaggi di questo processo rispetto ad altri, si basano sulla resa energetica della termoliquefazione e sul fatto che l’acqua non venga rimossa ma utilizzata durante il ciclo produttivo.
I rifiuti non mancano
Secondo un recente rapporto della Banca Mondiale, entro il 2100 la produzione di rifiuti domestici triplicherà rispetto a oggi. In base allo studio condotto dal gruppo Shell, potenzialmente entro il 2025 saranno prodotte ogni giorno oltre 6 milioni di tonnellate di rifiuti domestici. Per quanto riguarda l’Italia, si stima che ogni anno vengano raccolte circa 30 milioni di tonnellate di rifiuti, di cui 18 sono correttamente differenziate selezionando 7 milioni di tonnellate di scarti organici.
Ultima modifica: 22 Giugno 2023