Un anno senza Sergio Marchionne in FCA. Un anno che avrebbe potuto essere di disastri e che invece è stato solo di non-successi. Marchionne per la casa torinese è stato più di un amministratore delegato. È stato una magia. Ne ha fatte almeno due straordinarie.
Le magie di Sergio
La prima quando ha convinto gli americani della General Motors a versare una cifra pazzesca per avere il diritto di uscire dall’azionariato della Fiat (praticamente fallita all’epoca). Quando la trattativa era ancora in corso, un banchiere milanese mi disse: «Vedrai che vincerà . Vedi, noi abbiamo studiato nelle scuole giuste e parliamo inglese benissimo. Ma lui è del posto e sa benissimo come si dice: adesso vi faccio un … grande così. Vincerà ». E infatti da quella trattativa Marchionne esce con due miliardi di dollari, sufficienti per evitare di portare i libri in tribunale e per ripartire.
Non molti mesi dopo va da Obama, allora presidente americano e alle prese con la crisi dell’auto, e gli dice: «Non puoi occuparti di tutto, lascia a me la Chrysler, te la sistemo io». Obama accetta e la Fiat, dopo oltre un secolo di vita (e che solo pochi mesi prima si era venduta alla General Motors) diventa finalmente internazionale: ha una base in America.
La questione Ferrari
Poi c’è la gestione, sempre attenta e sempre profittevole. Ma Marchionne si scopre malato e un anno fa muore. I successori continuano in silenzio il suo lavoro, con due sole scivolate. La Ferrari, la regina delle corse, l’adorata da Marchionne, zoppica un po’. Ma penso che quella della Ferrari sia ormai una guerra di Davide contro Golia: come avversari ha solo gruppi ben più forti di lei. A Maranello sono straordinari (li conosco e ho girato sulla loro pista, hanno i motori nel sangue), ma la guerra è tremenda ed è fatta di soldi. Per guadagnare pochi decimi di secondo in una curva, servono miliardi di investimenti. Non so per quanto tempo la casa torinese potrà reggere questo ritmo.
La questione Renault-Nissan
L’altro scivolone avrebbe potuto essere un successo all’altezza delle imprese di Marchionne: l’alleanza a tre Renault-Fca-Nissan. Ne sarebbe nato uno dei gruppi più forti al mondo, in grado sicuramente di tenere testa ai colossi americani. Ma è andato tutto a rotoli. Cattiva preparazione, troppa fretta nel dare l’annuncio di una cosa non ancora conclusa?
Sono abbastanza sicuro che dietro le quinte, al riparo dai rumors giornalistici, le trattative proseguano. Non saranno brevi. È complicatissimo mettere d’accordo due case automobilistiche, figurarsi tre. Ci sono da valutare tutti gli asset e le prospettive sui vari mercati. Certo, di questi tempi e con questa alleanza sul tavolo uno come Marchionne, con la sua abilità nel fare dei miracoli, sarebbe stato utilissimo. Ho conosciuto tutti gli amministratori delegati della Fiat dal 1970 in avanti: bravi, bravini, incapaci.
Ma uno come Marchionne, che non ha mai sbagliato un solo colpo come lui non l’ho mai conosciuto. Solo Ghidella. Ma Ghidella era un motorista, adorava la meccanica. Me lo ricordo negli Stati Uniti mentre si lancia sotto una Cadillac per vedere che ammortizzatori montava. O sulla pista di Daytona mentre prova i primi esemplari della Uno («Da anni – mi dirà più tardi un dirigente della Ford – tutti stiamo copiando la Uno, la macchina è quella, allunghiamo alziamo, ma stiamo tutti rifacendo la Uno»).
Il mago
Ecco, Marchionne non era un motorista. Forse non amava nemmeno le auto. Ma sapeva fare le magie. La sua forza era quella. Stregava tutti.
di Giuseppe Turani
Ultima modifica: 25 Luglio 2019