Sicurezza stradale in Europa: ok francesi, svedesi e inglesi. E gli italiani?

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Sicurezza stradale in Europa. Vi proponiamo questa interessante riflessione di Lorenzo Borselli, Ispettore della Polizia di Stato e Responsabile Comunicazione di ASAPS.

Pubblicata sulle sempre autorevoli pagine dell’Associazione sostenitori amici polizia stradale.

Allora: ci sono un francese, uno svedese, un inglese e un italiano… Ma non è una barzelletta e quindi l’italiano non è il più furbo o il più intelligente. No: è la realtà e, anzi, tra i quattro, è il peggiore…

La Francia avrà mille problemi nella quotidianità, ma sulla strada le cose vanno meglio che altrove. L’Osservatorio interministeriale della sicurezza stradale ha infatti diffuso nei giorni scorsi il rapporto preliminare del 2018, con tutti gli indicatori piegati, fortunatamente, sul segno meno. In tutto, le vittime delle strade sono state 3.259, 189 decessi in meno rispetto al 2017 (-5,5%), con una decrescita dello 0,3% rispetto al 2013, il miglior anno di sempre.

Le cose vanno un pochino peggio nei dipartimenti d’Oltremare, dove la mortalità ha invece fatto registrare un aumento del 3,4% (244 vittime nel 2018 contro le 236 del 2017), ma tutte le altre voci statistiche (numero complessivo di incidenti, eventi con feriti ed incidenti con feriti gravi) sono in diminuzione. Gli eventi con lesioni gravi, tornando ai dati continentali, sono scesi nelle sole aree metropolitane, dell’1,8%, con il bollettino attestato a 2.563 incidenti (48 in meno rispetto al 2017), mentre il numero complessivo di feriti, 3.353, è in calo del 3% netto (103 ricoveri in meno). Il dato sugli incidenti gravi – quelli per i quali l’infortunato viene ricoverato – è ancora più incoraggiante: 1.323 ricoveri nel 2018 contro 1.711 dell’anno precedente (-21,3%).

Secondo gli esperti dell’APR (Association Prevéntion Routière), il risultato degli sforzi è incoraggiante, e anzi “conferma che la fatalità non esiste e che è ancora possibile ridurre il numero di drammi sulle nostre strade, come in Svezia o nel Regno Unito”.

 

A proposito di Svezia: nel 2017, ultimo dato disponibile per il regno di Carlo XVI Gustavo, le vittime accertate sono state 253 (il 77% delle quali di sesso maschile e solo 10 minorenni!!!), i feriti gravi 2.275, e il 23% degli eventi è risultato alcolcorrelato. Tutti gli indicatori, ad eccezione di quello che riguarda i motociclisti, sono in diminuzione.

 

Il paese scandinavo ha una popolazione di poco superiore ai 10 milioni di abitanti, il doppio di quella dell’Emilia-Romagna (che di abitanti ne ha invece 4 milioni e mezzo). Ebbene, nella nostra regione (nostra perché l’Asaps ci è nata e vi continua ad operare), ci sono stati – sempre nel 2017 – ben 378 morti e 23.500 feriti, con un aumento della mortalità del 23,1% (dati Istat).

E certo, direte voi: in Svezia viaggiano tutti sui mezzi pubblici…
Attenzione: in Emilia-Romagna il parco veicolare sfiora i 3 milioni di mezzi, ma in Svezia il numero di immatricolazioni attive al 2017 arriva a 5 milioni. La rete di strade svedese è costituita da quasi 60.000 km di asfalto (dati al 2009), mentre in Emilia-Romagna, secondo i dati del 2002, non si arriva a 11.000.

 

Il paragone è comunque ingeneroso, perché l’intero regno svedese arriva a 450.295 km², mentre la superficie della regione italiana è di 22.453 km², e anche se è vero che la rete infrastrutturale non è paragonabile a quella del resto d’Europa, non possiamo far altro che rilevare che, continuando di questo passo, nel giro di una decina d’anni sarà centrato l’obiettivo “zero vittime”.

E nel Regno Unito, paese nel quale il numero di abitanti supera i 66 milioni (in Italia siamo poco meno di 61 milioni), la rete di strade raggiunge i 395.000 km (noi ne abbiamo ben 845.000!!!), i veicoli circolanti risultano essere 38 milioni (nel Belpaese sono quasi 51 milioni…), le vittime nel 2017 sono state 1.797, con 170.993 feriti (di cui 24.831 gravi).

 

In Italia, nel 2017, le vittime sono state 3.378 ed i feriti 246.750: il paragone, a nostro avviso, è semplicemente impietoso.
In un articolo pubblicato sul magazine “We Build Value” nel giugno 2016 (magazine sicuramente di parte, perché pubblicato dal gruppo Salini Impregilo), si legge che la Highways England, ente pubblico di gestione, ha pianificato 12,6 miliardi di sterline (circa 14 miliardi e 378 milioni di euro) per un piano quinquennale di investimenti sulle strade dal 2015 al 2020 che ha, come obiettivi finali la riduzione del 40% dei decessi per incidenti, l’aumento della soddisfazione degli utenti attraverso la riduzione del traffico, la riduzione del congestionamento e quindi del tempo perso negli autoveicoli, la tutela dei ciclisti e dei pedoni.

L’inchiesta di Gabanelli

 

In Italia, secondo la recentissima inchiesta di Milena Gabanelli su “dataroom” pubblicato il 3 febbraio sul Corriere della Sera, un censimento realizzato da Anas dopo il 2017, voluto dall’allora a.d. Gianni Armani, 1.425 viadotti sono risultati senza un proprietario e gestore identificato. Ne è seguita una comunicazione arrivata il 19 dicembre al ministro dei Trasporti (pubblicata nell’inchiesta), e mentre in Italia i ponti che crollano sono parecchi (le vittime c’erano già, anche prima del Morandi di Genova), la segnalazione resta al momento priva di risposta.

 

Secondo Anas – scrive Milena Gabanellioltre il 50% delle strutture ha compiuto i 40 anni di età e quasi una su quattro ha superato i 50. Non è possibile risalire con certezza al gestore di un ponte perché nella maggior parte dei casi ha registrato passaggi di proprietà o di gestione. Se i titolari sono privati, come nel caso di Consorzi o singole società, possono subentrare contenziosi, fallimenti, decessi. Cambiano gli uomini, i riferimenti, e tutto si confonde. Nel caso di enti pubblici, le responsabilità si rimpallano davanti al Tar, e in assenza di interventi tutti confidano nella buona sorte”.

Purtroppo, la fortuna non esiste: lo dicono anche in Francia, riguardo i dati della sinistrosità, guardando a Svezia e Regno Unito. E noi? Noi “a chi” guardiamo? (ASAPS)

Ultima modifica: 7 Febbraio 2019