Giordano Biserni, ex ispettore, lei guida da trent’anni l’Asaps, ovvero l’associazione degli amici della Polizia Stradale. Quanti eravate all’inizio?
«Sedici da tutta la Romagna. Adesso siamo diecimila in Italia: il 70% sono agenti, non solo della Polstrada. Quando cominciammo ci davano sei mesi di vita…».
In questi trent’anni, si è chiesto chi gliel’ha fatto fare?
«Era l’epoca delle stragi del sabato sera. La mia provincia, Forlì, comprendeva anche il Riminese: ogni anno c’erano 25-30 ragazzi morti solo in quelle ore del weekend. Era come se due squadre di calcio, da un anno all’altro, non si iscrivessero più al campionato. E ci fu un episodio che mi colpì in particolare».
Quale?
«Una domenica mattina, poco prima dell’alba. Una bella casa, a Forlì. Dietro alle tapparelle, si vedevano le luci accese. Capimmo subito che i genitori stavano aspettando la loro figlia. Suonai. Aspettarono molto ad aprire: era chiaro che noi poliziotti portavamo brutte notizie. La ragazza era morta in un incidente in A14. Era andata col fidanzato a festeggiare un esame in cui aveva preso 30 e lode».
Ma perché fondare un’associazione?
«Qualcuno mi aveva proposto un sindacato: per carità, erano già troppi. Un’associazione serviva invece perché era importante cambiare mentalità. Un prefetto mi disse che cento morti sulle strade non destavano la stessa preoccupazione di un ferito in uno scontro di piazza. Mi resi conto subito che le nostre battaglie civili confliggevano con importanti interessi economici».
Cosa intende?
«Discoteche e consumo di alcol non avevano orari. E in parlamento c’era la proposta sui 150 km/h in autostrada: saremmo stati l’unico paese al mondo. E avrebbe significato cavarsela con tre punti sulla patente per chi tocca i 200, una follia».
I primi risultati?
«Dieci-dodici anni per i primi limiti notturni. E poi, ricorda i sassi gettati dal cavalcavia? Le segnalazioni erano fortemente imprecise e i viadotti erano decine. Proponemmo di numerarli e ci diedero ragione».
In questi trent’anni si è fatto più amici o più nemici?
«Ho raggiunto un’età in cui non ho paura di dire le cose come stanno. Quando è così, si dà fastidio. Noi siamo una sorta di Ong, libera, della sicurezza stradale. Ma certo, c’è anche grande curiosità per quello che facciamo, merito dei nostri venti osservatori».
Venti?
«Agenti picchiati, ciclisti morti, incidenti con animali, monopattini, veicoli caduti in acqua… E sa qual è il metodo? Rassegne stampa e segnalazioni dei nostri 600 referenti sul territorio. Dati pronti, subito. Quelli del ministero arriverebbero il 31 luglio dell’anno dopo».
L’uso dei telefonini le fa paura?
«Si ricorda la pubblicità? ‘Una telefonata allunga la vita…’. Direi che è il contrario, soprattutto perché si sono aggiunti messaggi, selfie e chi più ne ha più ne metta: è la sbornia del terzo millennio. Il 25% dei guidatori ha dichiarato che commette questa infrazione: solo lo 0,016% viene punita. E sto arrotondando per eccesso».
Servono leggi più severe?
«Sì, il ritiro della patente già alla prima violazione».

Forse è per questo che i politici non le danno retta.
«Infatti se ne parla da anni, invano. Insomma, ho visto gente guidare con due telefonini. Oppure con il telefonino e la sigaretta. E ricordiamoci sempre che, oltre alle mani, ci occupa anche il cervello».
Un’altra vostra storica battaglia: l’omicidio stradale.
«L’espressione l’abbiamo inventata noi nel 2004. Quel giorno un mio collega, Pierluigi Giovagnoli, fece da scorta per una gara ciclistica. A un certo punto segnalarono un furgone che stava per piombare sul gruppo: si mise di traverso per fermarlo, morì sul colpo. L’autista aveva 3,3 grammi di alcol per litro di sangue: se la cavò con 1 anno e 4 mesi».
In questo caso è diventata legge.
«Grazie a due genitori fantastici, Stefano e Stefania: nel 2010 persero Lorenzo Guarnieri, 17 anni, fiorentino, investito da un ubriaco. Mi colpirono per razionalità e lucidità: non cercavano vendetta. Raccogliemmo 85mila firme chiedendo una legge».
C’è invece una sconfitta che le brucia?
«È di pochi giorni fa: la chiusura dei distaccamenti della Polstrada di Lugo, Rocca San Casciano e molti altri. La burocrazia ministeriale ha portato a termine un piano che va avanti da dieci anni nonostante comitati, sindaci e parlamentari del territorio, tutti contrari. Un taglio assurdo, perché gli incidenti sono più sulle statali che in autostrada. E tra 6-7 mesi sull’appennino forlivese non manderanno nemmeno più le pattuglie».
La pandemia ha cambiato tutto. Ci ha trasformati anche mentre guidiamo?
«Temo in peggio. Se ci siamo abituati a guidare con meno auto in giro, e di conseguenza abbiamo ridotto l’attenzione, lo pagheremo presto. Inoltre, la gente è più nervosa: durante i lockdown gli incidenti calano, le aggressioni agli agenti no».
Marco Bilancioni

Ultima modifica: 1 Aprile 2021