Il ministero dell’Economia ha dato il via libera definitivo alla garanzia pubblica sui prestiti bancari richiesti da FCA Italy a Intesa Sanpaolo. Dopo l’approvazione annunciata ieri mattina da parte della Corte dei Conti, la concessione della garanzia è giunta come previsto dal Mef, nell’ambito delle procedure del Decreto Liquidità .
La garanzia viene fornita da Sace e copre l’80% dell’importo di 6,3 miliardi richiesto da Fca a Intesa Sanpaolo, che inizierà a erogare i fondi nei prossimi giorni.
«È un’operazione di sistema, con la quale si punta a preservare e rafforzare la filiera automotive italiana e a rilanciare gli investimenti, l’innovazione e l’occupazione in un settore strategico per il futuro economico e industriale del Paese», ha commentato il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, confermando che «il governo verificherà l’attuazione degli impegni assunti da Fca Italy».
In cambio del prestito garantito, che corrisponde al 25% del fatturato realizzato in Italia da Fiat Chrysler, lo Stato ha chiesto a Fca di rispettare l’impegno assunto già nel 2018 da Mike Manley, e poi confermato nel 2019, di investire 5 miliardi in Italia.
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Gli investimenti ipotetici a Melfi e Mirafiori
Ancora ipotetici, invece, altri investimenti aggiuntivi. Si parla di 200 milioni per il sito di Melfi. I soldi del prestito verranno usati per pagare il personale degli stabilimenti italiani (800 milioni).
E per il resto come circolante per far fronte al pagamento della filiera, tra cui circa 10mila fornitori italiani, e per sostenere gli investimenti programmati negli stabilimenti dove stanno partendo le nuove produzioni, con la 500 elettrica a Torino e con le Jeep Renegade e Compass ibride «plug in» a Melfi.
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La richiesta di Fca è finita al centro del dibattito politico perché il gruppo che fa capo agli Agnelli-Elkann ha sede fiscale a Londra. E circa il 15% dei fornitori all’estero.
Il mercato ieri ha punito i titoli di Fca (-4,4%) e di Cnh (-5,8%) a Piazza Affari. Anche perché Cnh ha appena comunicato che a causa del crollo degli ordinativi sono a rischio i poli di Brescia e Lecce con circa 2.700 operai.
Elena Comelli
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Ultima modifica: 25 Giugno 2020