Intervista a Anton Francesco Albertoni, presidente di Ucina

Anton Francesco Albertoni, 45 anni, amministratore delegato di Veleria San Giorgio (impresa produttrice di accessori nautici), e’ stato riconfermato presidente di Ucina – l’associazione nazionale dell’industria nautica da diporto – dall’assemblea dei soci riunitasi a Palermo il 17/18 maggio 2008 in occasione del Satec 2008. Albertoni e’ subentrato a Paolo Vitelli, che ha guidato l’associazione per otto anni. Dopo gli studi, giovanissimo inizia a lavorare per il Canapificio Ligure, azienda di famiglia attiva nel settore tessile.
Dal 1988 e’ amministratore delegato di Veleria San Giorgio, azienda storica nel settore degli accessori ed equipaggiamenti nautici attiva in Liguria dal 1926, dalla produzione di vele, all’abbigliamento tecnico e alle dotazioni di sicurezza

{{IMG_SX}}Presidente Albertoni, da oggi in mostra tante barche, tantissimi yacht. Sembra un’immagine opulenta di un paese che non c’e’, o almeno che soffre.
“E’ vero, puo’ sembrare un messaggio fuorviante. Ma va preso come dimostrazione di un comparto produttivo che magari soffre, almeno per una parte, pero’ in cinque anni ha raddoppiato il fatturato e triplicato gli addetti e oggi vanta quasi 40 mila posti di lavoro. Il salone che apre oggi e’ una vetrina su un comparto produttivo d’eccellenza unico in Italia con questi risultati”
Si parla di due ministri presenti all’inaugurazione di oggi. Che intende dire l’Ucina al governo?
“Diremo alcune cose molto chiare. La prima: e’ essenziale fare uno sforzo congiunto per rilanciare il settore che piu’ sta soffrendo la crisi, quello delle piccole barche. La seconda: per rilanciarlo, non serve nemmeno un euro di danaro pubblico, perche’ basta semplificare le procedure che autorizzino i privati investitori a costruire nuovi posti barca utilizzando darsene e strutture gia’ esistenti nei waterfront tra le citta’ e i porti. Terza: che non possiamo piu’ aspettare, visto che in pochi anni abbiamo accumulato un deficit vertiginoso nei confronti dei paesi turisticamente concorrenti, con la Francia -per fare un esempio- che ha il 35% di posti barca piu’ di noi malgrado abbia la meta’ delle coste. In sostanza: il governo deve governare, e’ proprio in momenti di crisi come questi che bisogna valorizzare le potenzialita’. Anche di recente il Censis ha ribadito che ogni 4 posti barca si crea un posto di lavoro. Vuol dire che ci sono 10 mila potenziali posti di lavoro che possono nascere senza un euro di investimenti pubblici”.
Sembra facile. Ma qual e’ lo strumento legislativo?
“Oggi lo indicheremo formalmente al governo: si tratta di inserire, nella gia’ avviata revisione della legge 84/94 sulla portualita’, un articolo che autorizzi espressamente le Autorita’ portuali o le istituzioni del territorio competenti a dedicare alla piccola nautica tutte quelle strutture del waterfront – darsenette, mandracchi, aree portuali dismesse- che possono ospitare le barche. Siamo pronti come associazione ad assumerci gli oneri di trasformazione relativi. Ma ci vuole un indirizzo concreto dello Stato centrale alle periferie”.
A parte l’impegno di parlarne oggi ai ministri, che fa l’Ucina per sostenere la piccola nautica, la cosidetta nautica sociale?
“I visitatori del salone potranno vederlo gia’ da oggi. Abbiamo fatto un grande sforzo, uno sforzo molto evidente, per separare le aree dedicate alle piccole barche da quelle dei grandi yachts. Fino a ieri, piccoli e grandi scafi erano spesso mischiati, facendo di fatto scomparire i primi. Da oggi abbiamo un padiglione S, il primo dall’ingresso, tutto dedicato agli scafetti con motore fuoribordo e comunque ai natanti piu’ o meno popolari. E’ stato ulteriormente ingrandito anche il settore dei gommoni, con il nuovissimo padiglione B”
Anche la vela ha bisogno di consistenti aiuti per un suo rilancio…
“Infatti abbiamo creato un settore dedicato, molto piu’ esteso che nel passato, con una darsena riservata vicino a “Mondoinvela” e tutta un’area per le attrezzature e le dotazioni specifiche. Quest’anno ci sono solo in acqua oltre duecento barche a vela, un record”.
Pero’ deve riconoscere, presidente, che per la vela in Italia il mercato non e’ certo in crescita.
“E’ vero, ma e’ la conseguenza di una serie di fattori che abbiamo da tempo identificato. Il primo in assoluto e’ la mancanza di strutture dedicate. Come dicevo prima, i posti d’ormeggio – o anche di alaggio e varo per le vele carrellabili- sono drammaticamente carenti. Poi c’e’ un fattore culturale, che non va anch’esso trascurato”.
Un fattore culturale?
“Esattamente. Mi chiedo perche’, in un paese proiettato sul mare come il nostro, che ha climi congeniali agli sport nautici tutto l’anno, non sia la stessa scuola a offrire corsi di vela ai ragazzi, come avviene in Francia, in Danimarca, in Svezia, negli Usa. Perche’ devono esserci solo corsi di educazione stradale- che certo fanno bene- e non di accesso alla nautica? Toglieremmo tanti ragazzini dalla strada o dai bar e ne guadagnerebbe anche l’economia”.
Pero’ arrivano, proprio di questi tempi, messaggi preoccupanti, che ipotizzano invece ulteriori sbarramenti. Come l’ipotesi fatta quest’estate da un ministro di una patente nautica anche per le piccole e piccolissime barche…
“Credo e spero che sia stata solo la reazione emotiva a due brutti incidenti mortali, peraltro entrambi con motoscafisti patentati. La sicurezza e’ fondamentale e siamo i primi a volercene fare carico; ma non si fa con le carte bollate, bensi’ come dicevo prima con l’insegnamento e con una cultura del mare fin da giovanissimi”.

Ultima modifica: 16 Novembre 2017