Lui e la signorina stanno bene insieme. ‘Lui’ si chiama Carioca ed è il primo, tostissimo trattore realizzato da Ferruccio Lamborghini nel 1947 nella sua officina di Cento, nel Ferrarese: un emblema della ricostruzione dopo la guerra.
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‘Lei’, la signorina, è la Miura SV personale di Ferruccio, unica e irripetibile perché ha le ‘ciglia’ sui fanali: «La Miura per me è la donna più bella del mondo», confessava il costruttore.
Qui, al Museo Ferruccio Lamborghini di Funo di Argelato, lui e lei sono esposti fianco a fianco, già all’ingresso, perché in fondo sono come fratelli, accomunati da un creatore coraggioso e geniale, forte come il toro che divenne il suo simbolo.
«Mio padre era un ragazzo pieno d’ingegno con la meccanica nel cuore», dice il commendator Tonino Lamborghini, che dal 2014 ha trasformato l’ex stabilimento alle porte di Bologna in un viaggio fra i ricordi e le conquiste del suo grande papà, Cavaliere del lavoro e ingegnere honoris causa.
Prima ancora di essere un museo, questo è il racconto di un uomo che ha realizzato i suoi sogni proprio arrivando a costruire sogni. «Ciò che colpisce è come sia riuscito un ragazzo di campagna a creare un mito sui prodotti e perfino su se stesso», aggiunge Tonino.
Nato a Renazzo di Cento il 28 aprile 1916, Lamborghini iniziò a lavorare giovanissimo a Bologna, nell’officina del cavalier Righi che revisionava mezzi militari: inforcava tutte le mattine la motoretta esposta al museo.
Durante la guerra lo spedirono a Rodi, nel 50° Autoreparto, dove si riparavano i veicoli. Al rientro, ebbe l’intuizione di recuperare i motori Morris dai veicoli lasciati dagli americani, e montarli su trattori di sua ideazione con vaporizzatore dedicato, cambio e differenziale innovativi.
Fu l’inizio del successo. Nel frattempo teneva l’occhio sulle auto sportive, come la Barchetta, appositamente modificata, con cui partecipò alla Mille Miglia del 1948. Negli anni la passione divenne la sua strada: la Lamborghini Auto nacque nel 1963.
Il museo presenta pezzi rari, dai primi trattori cingolati ai prototipi di straordinarie vetture come la 350GTV e la 400GT: ci sono la Jarama, la Jalpa, la Urraco e la Espada.
E in parallelo, c’è la storia d’Italia attraverso oggetti iconici: i televisori anni ‘50, la Vespa e la Lambretta, i mangiadischi e una vecchia seggiola in legno di qualche cinema Paradiso.
Una parete è piena di foto di Lamborghini con vip e grandi della Terra. C’è l’elicottero omologato Lamborghini con doppi comandi, e l’impressionante offshore Fast 45 Diablo di 13,5 metri, con motori Lamborghini, undici volte campioni del mondo.
Eterno Lamborghini
Quando Tonino disse a suo padre che raccoglieva materiali per un museo, Ferruccio lo guardò scettico: «La roba vecchia muore...». Poi il figlio mise in moto uno dei primi trattori «e quando sentì l’inconfondibile ‘Pum pum’, mio papà non riuscì a trattenere le lacrime – rievoca Tonino –. ‘Quando feci questi trattori, avevo la tua età e le tasche vuote’, mi disse».
Nei saloni del museo sembra di risentire la sua voce, magari affacciandosi al suo ufficio, ricostruito con gli arredi originali. Ma la stanza che Tonino Lamborghini apre con maggiore emozione è come un’officina o un magazzino di campagna, con un trattore velato di ruggine, l’incudine, il tavolo di lavoro. Non pezzi da collezione, ma pezzi di vita.
Stefano Marchetti
Ultima modifica: 4 Giugno 2021