In Europa negli anni 50 si assistette alla diffusione di una nuova categoria di veicoli per il trasporto di persone, le così dette bubble car. Note nello stivale come Microvetture, erano caratterizzate da equipaggiamenti estremamente economici sia per quanto riguarda le finiture sia per la meccanica. Le dimensioni ridotte, spesso abbondantemente sotto i 3 metri di lunghezza, erano la risposta all’esigenza nata nel dopoguerra, nel quale la produzione doveva avere un basso costo per le scarse risorse. Inoltre, nel 1956 si presentò un altro problema, la Crisi di Suez, che limitò ulteriormente le risorse e diede un’ulteriore spinta nella produzione di questi veicoli. Diversi in quegli anni furono i progetti di microvetture, per esempio l’italiana Iso Isetta, prodotta su licenza da BMW in Germania, o la Messershmitt AG caratterizzata da due posti in tandem. La meccanica di queste vetture era spesso di origine motociclistica con una cilindrata contenuta e prestazioni appena accettabili. È in questo periodo che prende vita una delle icone della mobilità inglese, la Mini.
Per fronteggiare il successo della già citata Isotta, George Harriman, presidente della British Motor Corporation, affidò ad Alec Issigonis il compito di progettare una vettura migliore di quella prodotta da BMW, risolvendo quelle che, secondo lui, erano delle criticità di quel veicolo. La microvettura che aveva in mente doveva avere quattro posti, quattro ruote e il motore a quattro cilindri già utilizzato sulla Austin A35.
Il risultato fu un autoveicolo di nuova concezione, motore disposto trasversalmente e all’anteriore, cambio montato sotto di esso, con coppa dell’olio unica, trazione anteriore. La carrozzeria, lunga appena 303 centimetri, era a due volumi e due porte.
La produzione della Mini fu affidata in licenza a diverse case automobilistiche, tra cui la Innocenti in Italia. Per la sua semplicità di progettazione si svilupparono anche diversi elaboratori, che rendevamo la microvettura capace di partecipare e vincere diverse competizioni. Uno di questi ebbe un’importanza così rilevante che il suo nome compare ora come modello della mini anche dopo l’acquisto totale dei diritti per la produzione e progettazione dell’auto da parte di BMW, si tratta di Cooper. La sua iconicità catturò l’attenzione del mondo cinematografico, che da una parte approfittò della famigliarità che il pubblico aveva già con il modello, dall’altra fu fautore di una maggior notorietà e dell’eterna memoria di questo piccolo veicolo.
Colpo all’italiana e the italian job
La prima apparizione cinematografica di una Mini è in Colpo all’italiana, il cui titolo originale è The Italian Job, il film inglese del 1969 diretto da Peter Collison è una pietra miliare del genere d’azione e poliziesco, con inseguimenti così ben realizzati da catturare lo spettatore ancora oggi. La pellicola ambientata a Torino narra delle vicende di una banda di ladri inglese che punta a mettere le mani su un carico di lingotti d’oro della Fiat.
Le tre vetture scelte dai protagonisti nel film sono tre Austin MINI Cooper S. Si trattava della versione più potente prodotta di serie della piccola inglese, la stessa che vinse il Rally di Montecarlo nel 1964, 1965 e 1967. Malgrado la potenza ridotta del motore, un 1275 da 80 CV con velocità massima di 170 Km/h, le britanniche riescono a scappare dalle potenti Alfa Romeo Giulia della Polizia, sfruttando l’agilità e la leggerezza delle auto. Emblematiche le scene sul tetto del Lingotto e la corsa tra i portici di Via Roma e Corso Vittorio Emanuele, tra le più famose della storia del cinema. Peccato che all’epoca la British Motor Company non fu in grado di sfruttare le potenzialità pubblicitarie di questo film. La produzione dovette acquistare le Mini necessarie per la realizzazione del lungometraggio, al contrario di Agnelli, il quale, invece, offrì alla produzione delle FIAT 500 dotate di compressore volumetrico, 40 mila dollari e tutte le altre auto che potevano servire al film.
Nel 2003 uscì nelle sale The Italian Job, distribuito questa volta in tutto il mondo con il nome originale, remake diretto da Peter Collison. Questo è stata un’occasione ghiotta per BMW per pubblicizzare la Mini e fu sfruttata ampiamente. Del lungometraggio originale poche cose sono rimaste invariate, i nomi dei personaggi rimangono gli stessi e scelgono sempre delle mini per la loro versatilità, ma l’ambientazione è Los Angeles e la dinamica del colpo varia fortemente, anche se il piano per la fuga mantiene come caposaldo la computerizzazione dei semafori. La piccola vettura britannica è protagonista indiscussa del film già a partire dall’apertura, nel quale un membro della banda compie manovre acrobatiche a bordo di una Rover Mini Cooper Mark 6 rossa, con le immancabili Bonnet Stripes bianche sul cofano, che sono un omaggio al film originale riprendendo il modello originale del 1969. La vettura in questione è l’ultima prima dell’acquisizione di BMW, in versione sportiva Cooper, prodotta dal 1992 al 1998. Spinta da un motore 4 cilindri 1275 da 63 CV, con un peso inferiore a 700 kg ed un assetto rigidissimo rendono questo esemplare un vero e proprio kart per la strada. Nella seconda parte del film, invece, si utilizzano Mini by BMW, con una livrea che rimanda al film originale. Mossa di marketing più che riuscita da parte della casa bavarese che, grazie al film, registro nel 2003 un incremento di vendite della piccola icona britannica negli USA del 22% rispetto all’anno precedente. Le tre protagoniste in questione sono le R50, in particolare due Cooper ed una Cooper S riconoscibile per la grossa presa d’aria presente sul cofano. Le Cooper un 1.6 aspirato Tritec di origine Chrysler da 116 CV, per un peso di 1070 kg, mentre la Cooper S, denotata poi come R53, invece aggiungeva al motore di base un compressore volumetrico, aumentando la potenza fino a 163 CV per 1170 kg di peso. La differenza tra questi due modelli è avvertibile dai più appassionati nelle scene onboard in quanto è possibile udire il tipico fischio del compressore volumetrico caratteristico solo della Cooper S.
Una piccola curiosità, alcune delle scene sono state girate in locali chiusi e per la legge della California non era possibile utilizzare motori a combustione interna. Per questo vennero modificate al fine di realizzare delle mini in grado di funzionare solo tramite elettricità, posizionando sotto il cofano un pacco batterie e posizionando prima del cambio un motore elettrico. Oggi la Mini Cooper SE è un veicolo totalmente elettrico in produzione e si discosta da questo esperimento dettato dalla necessità per raffinatezza della progettazione.
Mr. Bean
Una Mini che non vorreste mai vedere per strada è una piccola Mk4 del 1977 colorata di verde acido con cofano nero opaco. La paura di vedersela apparire davanti non è tanto dettata dalla vettura in sé, ma dal conducente, l’iconico Mr. Bean. Non si poteva evitare di parlare della Mini nel mondo dello spettacolo senza citare la celebre serie TV inglese con Rowan Atkinson. La Serie, andata in onda dal 1990 al 1995, racconta la vita di Mr. Bean, un uomo di circa quarant’anni, apparentemente senza né lavoro né famiglia, che vive da solo in un piccolo paese dell’Inghilterra. Piuttosto solitario, ha come migliore amico Teddy, un orsetto di peluche. Durante le puntate assistiamo ai tentativi goffi dell’uomo di vivere una vita tranquilla, creando terrore e panico per l’Inghilterra, generando nello spettatore grande Ilarità, soprattutto per la sua inadeguatezza alla vita. Grande peculiarità del personaggio è quella di parlare pochissimo. I dialoghi sono rari e la comicità passa attraverso le spiccate capacità di mimica dell’attore. L’assenza di dialoghi ha permesso di esportare in più di duecento paesi l’opera senza aver mai la necessità di un doppiaggio.
Mr. Bean si sposta sempre con la sua piccola Mini, che non ha mai trattato con grande riguardo, Ma anzi con lei spesso è vittima di incidenti o piccole disavventure. Altra caratteristica che la denota è che per prevenire i furti, l’uomo ha installato sopra la normale maniglia un chiavistello da capanno con lucchetto e l’ha dotata di volante removibile, in maniera tale da portarlo con sé ogni volta che scende. Infine, assistiamo anche alla grande rivalità tra Mr. Bean ed il misterioso guidatore di una Reliant Regal SuperVan III, auto praticamente sconosciuta in Italia, ma molto famosa oltremanica, soprattutto per la sua configurazione meccanica a tre ruote, una singola sterzante all’anteriore e la coppia dotata di trazione al posteriore. Questa configurazione particolare era pensata per pagare il bollo e l’assicurazione come una moto, ma al contempo la rendevano molto facile da ribaltare. Proprio su questo si giocava con la comicità, in quanto Mr. Bean in qualche modo, sempre involontario, infastidiva o faceva ribaltare la rivale azzurra.
Ultima modifica: 27 Giugno 2023