Croce e delizia di alcune città italiane, l’Area C è un provvedimento volto a contenere l’inquinamento nei centri urbani. Si tratta di un provvedimento discusso (molto!) e discutibile, ma con cui oramai gli italiani – ma anche i cittadini europei – hanno imparato a convivere. L’area C, infatti, non è altro che una zona a traffico limitato, che si chiama così per esempio a Milano.
Ma il capoluogo lombardo fa un po’ storia a sé: sono in molti a ricordare le prime telecamere apparse sul territorio cittadino, in prossimità del centro, quando a guidare la città vi era la sindaca Letizia Moratti. A suo tempo l’area limitata non si chiamava Area C, ma il concetto – se pur diverso nel metodo – era molto simile, nel merito: limitare l’ingresso delle auto nel centro urbano. Ma andiamo con ordine e vediamo perchè è stata istituita l’Area C.
L’esempio di Milano
In principio era l’Ecopass. Si deve andare indietro di almeno un decennio per ripercorre la storia delle zone a traffico limitato nel capoluogo lombardo. Tra le critiche e le convinzioni, quella che a suo tempo era la sindaca di Milano – stiamo parlando di Letizia Moratti – istituì i varchi dell’Ecopass. In pratica, a chi non era in possesso di una automobile al passo con tempi – il problema era la motorizzazione – non poteva accedere in determinate aree della città (di fatto la cerchia centrale). Un provvedimento discusso: c’era chi ne sosteneva la sua efficacia, ma c’era anche chi lo riteneva un inutile modo per spostare il traffico, non snellirlo. Di certo gli si deve riconoscere il merito di aver precorso i tempi: oggi le zone a traffico limitato sono ovunque. E proprio Milano, continua a essere pioniera in questo senso.
Mandato in pensione l’Ecopass, la città e chi la guida ha scelto di ribattezzare l’area ad accesso limitato con il nome di Area C, la quale non fa sconti a nessuno, a meno che non si sia in possesso di un’auto elettrica: chiunque voglia accedere in questa area, deve pagare un ticket di 5 euro. Dunque non è più un problema di motorizzazione, ma un provvedimento che sposa la filosofia della teoria di economia ambientale “chi inquina paga”. Resta inteso, però, che motorizzazioni d’antan – dunque inferiori all’Euro 3 – non possono varcare le soglie dell’area C nemmeno a pagamento.
Ma, come si diceva, non è finita: nei mesi scorsi Milano ha scelto di dare un’ulteriore giro di vite e ha optato per l’incremento dell’area ad accesso controllato. Da qualche tempo, quindi, i milanesi e i city user devono fare anche i conti con gli ampissimi spazi scelti ed occupati dall’area B. Anche in questo caso, diventa un problema di motorizzazione: se si è in possesso di un’auto con motore Euro 6, no problem. Dall’Euro 4 in giù il problema inizia ad esserci.
I detrattori del Diesel
L’istituzione di aree come quella C, rientrano chiaramente in un discorso molto più ampio di politiche ambientali, il tutto a livello Europeo. Ricordiamo, infatti, che non sono poche le città dell’Unione Europea ad aver scelto la linea dura con le auto che vengono ritenute inquinanti. A essere nell’occhio del ciclone – oramai è chiaro – è principalmente il Diesel. L’intento della commissione europea è chiaro, chiarissimo: eliminare, nel breve periodo, le auto alimentate con questo combustibile. Ma i conti tornano? Sembrerebbe in effetti proprio no : al momento attuale, facendo un’attenta analisi costi e benefici, il Diesel è la trazione più efficiente.
D’altro canto, sebbene la rivoluzione elettrica abbia iniziato a muovere i primi passi, va detto che siamo ancora agli esordi: mancano le infrastrutture per la ricarica del mezzi, le autonomie sono molto ancora basse, la tecnologia è costosa. E poi ci sono almeno altri due temi – diciamo meno sviscerati – che meritano attenzione: come verranno smaltiti, tra qualche anno, i pacchi batterie obsoleti? Quale sarà il loro impatto ambientale? In termini energetici, il sistema paese è pronto a erogare e garantire tutta l’energia elettrica che servirebbe per alimentare un intero parco auto elettrico?
La mobilità cambia forma
Non è tanto l’area C o l’eliminazione del Diesel, quanto la necessità di un cambiamento culturale che coinvolga cittadini e istituzioni. Non è mandando il Diesel in pensione che si risolve il problema dell’impatto della mobilità, ma piuttosto facendo scelte integrate. Solo favorendo un maggiore utilizzo dei mezzi pubblici, delle auto in car sharing, delle due ruote, solo favorendo l’intralogistica per coloro che arrivano in città solo per lavorare, solo così si può davvero pensare a un cambio di passo.
Certo l’area C, l’Area B e le zone a traffico limitato aiutano e di sicuro creano un’abitudine a scegliere un’alternativa. Ed è questo il loro valore aggiunto: se si riuscirà a scoraggiare l’utilizzo dell’auto propria a favore del mezzo comune, del mezzo collettivo, le ricadute in termini economici, ambientali e sociali saranno certamente positive.
Uno sforzo comune
Dunque serve la collaborazione di tutti: provvedimenti come quello dell’Area C non vanno subiti e nemmeno criticati a prescindere, ma vanno in primis compresi nel loro intento, analizzando tutte le componenti in atto. Il problema dell’ambiente, dell’inquinamento – oramai è noto – è un problema reale, con cui occorre fare i conti, soprattutto se si intende ragionare in un’ottica di sviluppo sostenibile e dunque delle generazioni future.
D’altro canto, bisogna anche analizzare la questione mettendosi dalla parte dei cittadini, dalla parte di coloro che si vedono precluso l’accesso a certe zone delle città, solo perchè colpevoli di essere in possesso di un’auto non aggiornata in termini di ultimo ritrovato tecnico. In questi casi, infatti, è principalmente un discorso economico quello che preclude il ricambio del parco. Serve quindi l’intervento delle istituzioni con un piano adeguatamente incentivante?
Ultima modifica: 5 Luglio 2019