La controversa questione delle nuove norme Ue per la riduzione obbligatoria delle emissioni di anidride carbonica dalle autovetture, che ha gia’ diviso la Commissione europea in due fronti, rischia ora di creare una frattura anche nell’ambito dell’Acea, la potente lobby europea dei costruttori del settore. Da una parte si trovano gli industriali italiani (Fiat) e francesi (Renault e Peugeot Citroen), che vendono soprattutto utilitarie e piccole-medie cilindrate e hanno rispettato gli accordi volontari con l’Ue sul taglio delle emissioni di CO2; dall’altra le tedesche Bmw, Volkswagen, Daimler-Chrisler (piu’ le americane ‘di casa’ nell’Ue, Opel e Ford), che producono soprattutto grosse cilindrate e non hanno conseguito gli obiettivi volontari. La frattura all’interno dell’Acea (che in questo momento e’ presieduta dall’Ad della Fiat Sergio Marchionne) sara’ evitata se si riusciranno a realizzare le riduzioni di CO2 previste – e necessarie per rispettare il Protocollo di Kyoto – facendo pagare meno i tedeschi, senza che questo pesi di piu’ su italiani e francesi.
Oggetto della controvesia e’ l’obiettivo di ridurre entro il 2012, in media, a 120 grammi al chilometro le emissioni di CO2 (biossido di carbonio) per tutte le auto nuove vendute sul mercato europeo, rispetto ai livelli del 1997 (186 g/Km). I portavoce della Commissione europea hanno annunciato oggi a Bruxelles che la proposta dell’Esecutivo comunitario sulle nuove norme, gia’ rinviata la settimana scorsa per il mancato accordo fra i 27 commissari, sara’ approvata mercoledi’ prossimo, ma non e’ chiaro se l’obiettivo dei 120 g/Km sara’ mantenuto, o se verra’ modificato per venire incontro alle proteste delle case automobilistiche.
Nel frattempo c’e’ stato un pesante intervento del cancelliere tedesco Angela Merkel a sostegno delle case tedesche; e nei giorni scorsi si e’ assistituo a un ‘botta e risposta’ fra gli stessi costruttori tedeschi (e americani) e il presidente della Commissione europea, Jose’ Manuel Barroso. Respingendo le critiche contenute in una lettera dei presidenti di Daimler-Chrysler, Volkswagen, Bmw, Opel e Ford Germania, che avevano definito “non realistico” l’obiettivo 120 grammi di CO2/km e paventato forti conseguenze negative sull’occupazione, il portavoce di Barroso ha osservato lunedi’ che “i posti di lavoro non si perdono quando ci si prepara al cambiamento in modo attivo, ma quando si reagisce resistendogli”, aggiungendo poi che “dobbiamo attrezzare l’Europa per la globalizzazione e la nostra industria per il futuro”. Va sottolineato, di passaggio, che la lettera degli industriali tedesca non era scritta a nome dell’Acea e non era firmata da italiani e francesi. Merkel, tuttavia, e’ tornata all’attacco il 30 gennaio, facendosi paladina dell’industria tedesca (e suscitando per questo non poche perplessita’, visto il suo attuale ruolo di presidente di turno dell’Ue). Il suo governo, ha annunciato, “blocchera’ qualsiasi tentativo d’introdurre una riduzione obbligatoria generale” delle emissioni di CO2, propugnando invece obiettivi di riduzione differenziati a seconda delle categorie di auto, in modo che lo sforzo non pesi tutto sulle spalle delle grosse cilindrate e vetture di lusso (e Suv) in cui eccelle la Germania. E questa sembra essere la strada sulla quale, obbediente a Berlino, la Commissione sta cercando ora di costruire il compromesso da adottare mercoledi’.
La soluzione degli obiettivi differenziati non e’ di facile applicazione: a prima vista, infatti, se le grosse cilindrate tedesche riducessero meno le loro emissioni, le piccole e medie cilindrate italiane e francesi – che gia’ rispettano i limiti intermedi del 2008 (140 g/Km) – dovrebbero diminuire le loro ancora di piu’. Certo, si potrebbe fissare un nuovo ‘tetto’, superiore ai 120 g/Km per la media delle emissioni di CO2 dalle auto nuove, ma quell’obiettivo non se l’e’ inventato il commissario Ue all’Ambiente, Stavros Dimas, e non puo’ essere modificato con un semplice colpo di spugna: fu calcolato all’epoca della Commissione Santer come uno dei tasselli essenziali per conseguire l’obiettivo piu’ generale del Protocollo di Kyoto assegnato all’Ue per il 2012 (diminuzione dei gas serra dell’8% rispetto al 1990), insieme agli altri strumenti gia’ messi in atto come la borsa delle quote di emissioni. In altre parole, un tetto superiore a 120 g/Km (e’ stato citato insistenemente nei giorni scorsi un possibile compromesso sui 130 g/Km) sarebbe possibile solo se si riuscisse a compensare ogni singolo punto percentuale in piu’ con riduzioni di CO2 da altre fonti.
Sembra la quadratura del cerchio, ma la soluzione del rompicapo e’ forse nell’intervento di un terzo ‘giocatore’: l’industria del petrolio e dei carburanti. L’Acea aveva fatto notare nei giorni scorsi (lettera di Marchionne a Barroso del 16 gennaio) come la riduzione delle emissioni di CO2 costerebbe da 15 a 25 volte meno se, invece di essere imposta alle tecnologie automotive (i motori delle auto), venisse richiesta a “fonti stazionarie”. Nella sua lettera, Marchionne non cita espressamente l’industria petrolifera e le raffinerie, ma ci ha pensato oggi la Commissione europea, approvando una proposta di direttiva che imporra’ il miglioramento della qualita’ e dell’efficienza dei carburanti, la diminuzione del loro contenuto di carbonio attraverso l’aumento della percentuale di biocarburanti utilizzati e la riduzione delle emissioni di CO2 durante tutto il ciclo produttivo (dall’estrazione alle raffinerie e alla distribuzione), a un ritmo dell’1% all’anno dal 2010 al 2020.
Non e’ chiaro se la riduzione di gas serra emessi nell’atmosfera a carico dell’industria petrolifera potra’ compensare un eventuale ‘sforamento’ del tetto dei 120 g/km al 2012 per le emissioni dalle auto. Ma si puo’ scommettere che e’ proprio su questo che stanno lavorando in questi giorni i servizi della Commissione, per poter presentare mercoledi’ delle cifre credibili, a sostegno del compromesso.
Ultima modifica: 16 Novembre 2017