Ayrton Senna, il fuoriclasse che non è mai morto davvero

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Ancora oggi in Brasile molti appassionati di Formula 1 rifiutano l’evidenza, e cioè che Ayrton Senna non sia morto e che il primo maggio del 1994 non sia mai esistito: continuano a sperare che quella folle carambola alla Curva del Tamburello all’autodromo di Imola sia stata un film… fiction. Il marchio Senna è ancora ben presente in Brasile. La sua Fondazione è attivissima non solo a São Paolo, la sua città di origine, ma anche nei quartieri più disagiati delle città più decentrate. Senna non è mai morto davvero perché come Achille, il Barone Rosso, D’Artagnan è un mito: una figura più vicina alla leggenda che alla storia.

Le origini di Ayrton, pilota caldo dalla mente fredda 

Senna vinse tre titoli mondiali, 41 gran premi, aggiudicandosi 65 pole position. Il tutto in una porzione di carriera relativamente breve: avrebbe potuto essere il più grande campione di tutti i tempi. Forse lo è stato comunque. La Renault disse che guadagnò miliardi con le intuizioni del pilota che, a uno a uno, perfezionava tutti i brevetti che sarebbero presto diventati parte integrante delle nostre auto. Senna aveva perfezionato i sistemi di ancoraggio delle cinture di sicurezza, aveva preteso una maggiore altezza del cockpit e una protezione più estesa per l’abitacolo.

Attenzioni che purtroppo quando perse il controllo della sua macchina a quasi 300 km/h non gli salvarono la vita. Classe 1960 e figlio di una famiglia di buona borghesia brasiliana, Ayrton affrontò tutta la trafila delle monoposto per arrivare alla Formula 1, dal kart ai bolidi delle piste importanti. Una frase più di ogni altra lo rappresenta: “La testa mi dice una cosa, il cuore me ne dice un’altra. E se il cuore mi dice che ci passo io provo a passare, non esiste curva nella quale non si possa superare….” Il suo duello a Suzuka con Prost, suo compagno in McLaren nel 1989 resta uno degli spot più straordinari dell’automobilismo sportivo.

Un sorriso eterno, bello e malinconico 

Ayrton non amava i giochi politici che cominciavano ad animare la Fia. Quando perse il titolo per una squalifica decisa dai commissari di gara per il taglio di una chicane pensò seriamente di lasciare le corse. Gli arrivarono offerte per fare qualsiasi cosa: film, rally, diventare pilota d’aereo (aveva già alcuni brevetti). Senna, dopo quell’episodio, chiese giustizia: gli diedero sei mesi di squalifica. La giustizia se la riprese con gli interessi dominando la stagione del 1990 e battendo Prost che nel frattempo era passato alla Ferrari. Alcuni sostengono che la sua vittoria nel 1991 in Brasile fu epica almeno quanto quella di Nuvolari che arrivò al traguardo senza volante, sterzando con una grossa chiave inglese attaccata al mozzo. Pioggia battente, gomme andate, cambio saltato, Senna arrivò al traguardo sbracciandosi un po’ per la rabbia di aver rischiato la pelle nell’indifferenza dei commissari di gara e un po’ per sfogarsi con il pubblico. Fu ricoverato in ospedale in osservazione perché si era quasi completamente lacerato i muscoli di spalla e braccio destro per tenere la macchina in pista.

Ecco chi era Senna, un uomo buono, sornione, sorridente ma di un sorriso malinconico come di chi sa che in fondo a ogni giro si rischia la vita e quel giro potrebbe essere l’ultimo. Un uomo che, con la sua Fondazione, oggi alimentata dai suoi vecchi sponsor e tenuta attiva dalla sua famiglia, porta a scuola e allo sport decine di migliaia di bimbi poveri delle Favelas. Lucio Dalla scrisse una frase meravigliosa nella canzone che gli dedicò: “… E ho capito che Dio mi aveva dato il potere di far tornare indietro il mondo rimbalzando nella curva insieme a me. Mi ha detto “chiudi gli occhi e riposa… E io ho chiuso gli occhi”.

 

Ultima modifica: 7 Marzo 2019