Parigi vuole comandare, ecco perché FCA-Renault è saltata

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Non è la prima volta che i francesi si barricano in casa. Come altre volte, l’operazione Fca-Renault si infrange contro la natura interventista, colbertista, protezionista dello Stato francese.

Uno Stato che è proprietario diretto per il 15% della Renault. Parigi si aspettava dunque un posto nel cda del nuovo gruppo, ma così lo Stato francese avrebbe limitato fortemente l’indipendenza della compagnia, perpetuando il problema delle interferenze nazionali che sta già rovinando i rapporti con Nissan.

Fusione FCA Renault
Fusione FCA Renault, la proposta

Sono mancate, insomma, «le condizioni politiche» per le nozze. L’altro punto di frizione è stata la richiesta di collocare la sede operativa a Parigi, replicando il modello di Airbus, che è registrata in Olanda ma ha la testa della compagnia a Tolosa.

Fca ha due sedi operative, a Torino per l’Europa e a Detroit per il Nord America, ma sotto la guida di Sergio Marchionne era in realtà più spesso gestita da un jet privato piuttosto che da una scrivania, con un’indipendenza che lo Stato francese non potrebbe certamente sopportare.

Prendendo atto del ritiro di Fca, il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire fa spallucce: «Era una buona opportunità, ma le condizioni» poste dallo Stato francese «vanno tutte garantite».

Il governo d’Oltralpe avrebbe voluto 5 giorni in più di riflessione «per garantire gli interessi della nazione francese», ma Fca si è alzata dal tavolo. Esprime addirittura soddisfazione il sindacato francese Cgt: «Ora lo Stato tracci una strategia industriale credibile per Renault», è il messaggio.

La lista degli incroci societari italo-francesi che si sono complicati per le interferenze della politica, del resto, è molto lunga. Secondo i calcoli di Kmpg, tra il 2000 e il 2018 sono state realizzate operazioni italo-francesi per 112 miliardi di euro che, per i due terzi, hanno visto i cugini d’Oltralpe come acquirenti in Italia. L’ultimo caso che ha visto i francesi chiudersi a riccio è stato il tentativo di fusione tra Fincantieri e Stx.

A un anno dalla formalizzazione dell’intesa e a quasi due dal contratto preliminare di acquisizione del 50% di Stx, nel 2018 l’accordo è stato rimesso in discussione dalla petizione congiunta alla Commissione Europea di Francia e Germania.

Sullo sfondo c’era la perplessità sulla collaborazione di Fincantieri con società di Stato cinesi per la costruzione di navi da crociera: questo ha fatto temere a Parigi un trasferimento tecnologico di asset naval-militari, che diventerebbero comuni in una costituenda società italo-francese.

L’annosa questione Air France e Alitalia

Un’altra clamorosa rottura fu quella tra Air France e Alitalia nell’aprile del 2008, quando l’allora numero uno Jean-Cyril Spinetta fece saltare il tavolo di una fusione che sembrava dietro la porta, esasperato dalle richieste delle 9 sigle sindacali italiane, facendo immediatamente dimettere l’allora ad di Alitalia Maurizio Prato. In quel caso la politica non fu all’origine della rottura, ma non fu nemmeno d’aiuto per rimettere insieme i cocci, anche se Silvio Berlusconi sollecitò più volte l’intervento di Sarkozy, che avrebbe potuto imporre la fusione, forte della quota del 15% dello Stato francese, primo azionista, allora come oggi, del gruppo Air France-Klm.

La storia di amore-odio fra le due compagnie aeree è poi continuata fino al febbraio scorso, quando Air France ha deciso di sfilarsi definitivamente dalla partita per il salvataggio di Alitalia: decisione dovuta, anche in questo caso, a motivi politico-istituzionali.

Resistenze su acquisizioni non gradite ci sono state anche da parte italiana, come nel caso della partita Edison-Edf, in cui il gigante transalpino dovette combattere per sette anni, dal 2005 al 2012, per prendere possesso della compagnia elettrica italiana che aveva lautamente pagato. Oppure quando l’Italia ha attivato, nel 2017, il ‘golden power’ su Telecom Italia. Impedendo a Vivendi, che col 23,5% esercitava il controllo di fatto sull’ex monopolista e che contemporaneamente era salita al 28,8% di Mediaset, di varare una fusione a tre allo scopo di creare un’anti-Netflix del Sud Europa a guida francese.

Per Francia e Italia, tutto sommato, è ancora difficile capire che stanno giocando con la stessa casacca europea.

Elena Comelli

Ultima modifica: 10 Giugno 2019