Parigi-Dakar: è un percorso ancora attuale?

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La Parigi Dakar, che ogni gennaio rinnova il suo appuntamento con gli appassionati delle due e delle quattro ruote, è indubbiamente una delle corse più pericolose e affascinanti nella storia dei rally raid. Nata nel 1979 da una geniale intuizione del pioniere Thierry Sabine, il patron di quella che sarebbe poi diventata l’Amaury Sport, tragicamente scomparso mentre seguiva a bordo di un elicottero le tappe del 1986, la Dakar rappresenta qualcosa di ben più significativo di una corsa. È una grandissima avventura, molto rischiosa, a volte purtroppo fatale per i suoi protagonisti: cosa che ne ha aumentato il fascino.

La corsa immortale voluta da Thierry Sabine

Thierry Sabine voleva una corsa “immortale” in grado di esaltare la straordinaria resistenza non solo dei motori ma anche degli uomini: la sua idea era quella di una corsa che spalancasse le frontiere e che avvicinasse l’Europa all’Africa. Purtroppo questa sua proiezione, per quanto generosa e nobile, venne frustrata da molti episodi drammatici che con il tempo consigliarono agli organizzatori di abbandonare definitivamente l’Africa.

Oggi, ormai da alcuni anni, la Dakar mantiene il suo nome come farebbe qualsiasi marchio di successo ma non è più africana da un pezzo. La corsa si è trasferita in Sud America e si snoda tra le vallate e la pampa argentina, gli altopiani del Cile e i massicci delle Ande. Una scelta obbligata che ha completamente cambiato la filosofia della corsa che ha dovuto confrontarsi con altre difficoltà che non erano quelle del deserto.

L’Africa rappresentava troppi rischi anche per la Dakar

La corsa immortale di Sabine in Africa era ormai diventata un grandissimo rischio: l’organizzazione francese era malvista perché la Francia rappresenta un’anima coloniale che molti popoli africani ancora detestano. Nel 2007 ci furono gravi tensioni ai confini con numerose minacce di sequestro ai danni di convogli e piloti: i punti di crisi maggiore erano soprattutto ai confini dei vari paesi e nel transito lungo piste battute anche da predoni e banditi che vedevano nel passaggio della corsa l’occasione di qualche colpo importante e di un po’ di visibilità per le proprie rivendicazioni.

Nel 2008 la tragedia anticipò i tempi della corsa: in Mauritania quattro turisti francesi vennero assassinati da un gruppo di banditi. Era il 7 dicembre del 2007: non si capisce se per un tentativo di rapina o per rivendicare un atto terroristico alcune persone armate fanno fuoco su tre famiglie di turisti, tutte francesi. Muoiono quattro persone tra le quali due bambini, altre nove rimangono ferite. La Mauritania, ex colonia francese, era uno dei paesi dai quali la Dakar 2008 sarebbe dovuta passare. L’Amaury si consultò con il ministero degli esteri francesi e poi decise di annullare la corsa. Non era mai accaduto prima. La corsa non si fermò mai nemmeno di fronte agli incidenti più gravi e ai morti: nemmeno di fronte alla scomparsa del suo ideatore, Thierry Sabine.

Il ritratto di un’Africa profondamente cambiata

Di quella Dakar oggi non c’è più traccia; ma nemmeno di quell’Africa, tratteggiata con passione sognante da Sabine e dai primi pionieri della corsa. La vecchia Dakar, che arrivava sulle coste del Senegal attraversando le piste del Sahara in quindici giorni di folle corsa a tappe tra un bivacco e l’altro, oggi non si potrebbe più ricreare in alcun modo. Nei suoi primi trent’anni di storia la Dakar ha cambiato tragitto in più occasioni puntando prima sull’Algeria, poi sulla Tunisia, infine anche su Libia e Marocco allungando il suo tracciato sia verso il Mali che verso la Mauritania per arrivare addirittura a Città del Capo nel 1992.

Oggi quasi tutti i paesi che hanno ospitato la corsa sono profondamente cambiati: ci sono state rivoluzioni drammatiche, regimi che sono stati sovvertiti, nuovi equilibri che si sono creati ma le tensioni di fatto non si sono mai sopite. Al punto che quando qualche tempo fa venne chiesto ad Etienne Lavigne, oggi responsabile organizzativo della corsa, se la Dakar sarebbe mai tornata in Africa la sua risposta fu… “sarebbe un bel sogno, forse destinato a restare tale”.

In Marocco tanti appassionati di auto e moto vivono il Sahara

Oggi gli appassionati, soprattutto i motociclisti che inseguono il desiderio di attraversare il Sahara e puntare verso il Senegal come la Dakar fece per la prima volta nel 1979, devono affidarsi ad agenzie turistiche ben strutturate e organizzate che possano fornire tutto il supporto necessario e, soprattutto, che garantiscano tutta la sicurezza necessaria. Ci sono piste segnate che vengono considerate sicure, altre che sono evidenziate perché è meglio non affrontarle mai e in nessun caso. Rispetto agli stati africani più interni è più conveniente concentrarsi su tratti brevi e all’interno di un unico paese, quasi sempre il Marocco. Per arrivare in Senegal e a Dakar è quasi inevitabile passare dalla Mauritania dove le tensioni sono molte e i rischi sono notevoli.

La Dakar sbarca in Medio Oriente

Dalla prossima edizione la Dakar dopo undici edizioni in Sud America cambierà ancora e si svolgerà in Arabia Saudita: un ambiente molto più simile al nord Africa e alla fascia sahariana, con quali risultati è da vedere. C’è moltissima curiosità per il nuovo tracciato studiato da Etienne Lavigne. Dakar ha chiesto con insistenza di poter riavere la corsa che lo scorso anno ha festeggiato i suoi quarant’anni di vita ma il contratto con i sauditi è ricco e importante e dovrebbe garantire diverse edizioni in Medio Oriente.

Quello che oggi numerosi appassionati chiedono a una corsa del genere è ancora la sua rischiosa imprevedibilità, che tuttavia è costata un gran numero di vite umane. A oggi si contano più di ottanta vittime tra le edizioni africane e quelle sudamericane e in molti casi la tragedia fu solo sfiorata.

Quella volta che il figlio della Thatcher si perse nel deserto

Uno dei casi più clamorosi è quello che nel 1982, era la quarta edizione, riguardò Mark Thatcher, il figlio dell’allora potentissimo primo ministro britannico Margaret Thatcher. Mark, grande appassionato di corse automobilistiche investì molti soldi per trasformare la sua Peugeot 504 in un’auto da rally raid. Mark, che a soli 29 anni era già baronetto, non era uno sprovveduto: aveva corso a Le Mans ed era un buon pilota. Ma esagerò con la confidenza: attardato da un pneumatico partì senza consultare le carte e si perse nel deserto tra Algeria e Mali con la navigatrice francese Anne Charlotte Verney e il suo meccanico. Venne subito dichiarato disperso: lo ritrovarono dopo tre giorni, stremato, i piloti di un aereo militare algerino.

Ultima modifica: 9 Gennaio 2020